Tra le sfumature delle parole

Sono sempre stata innamorata delle parole e del significato che si nasconde dietro quell’apparente aggregazione casuale di lettere e suoni e fin da piccola mi interrogavo sull’origine di quelle più strane o composte da più nomi o aggettivi.

Così, in preparazione di una certificazione linguistica, qualche giorno fa mi sono ritrovata a sfogliare un dizionario visuale francese, una di quelle cose che non penseresti mai di avere tra gli scaffali della libreria di casa tua e che pure sono sicura ognuno di voi si ritrovi puntuale in casa, acquistato da qualche genitore o magari proprio da voi stessi in occasione di quelle promozioni dei quotidiani che con un euro in più regalano la collezione delle collane e dei dizionari più svariati.

Oggi volevo condividere con voi alcune parole francesi che mi hanno rapita per il loro significato o la loro etimologia e mi affascinano in maniera incredibile…

Considero il francese una delle lingue più belle e romantiche al mondo e se c’è una cosa che adoro sono le parole ‘mare’ e ‘fiore’, che si traducono ‘la mer’ e ‘la fleur’, dunque al femminile. Personalmente non trovo niente di più femminile del mare e del fiore: il primo, travolgente, passionale e forte come il fascino di una donna, il secondo, invece, rappresenta per me quel suo lato timido, riservato e delicato che si ha sempre paura di turbare nelle cose più belle e fragili della natura. E pensare che la parola stessa ‘amour’ era nel sedicesimo secolo ‘indifféremment masculin ou féminin’ come ritroviamo riportato nell’opera ‘Les femmes savantes’ di Molière. L’amore visto al femminile, quello di una donna che vi dedica anima e corpo, un amore che ha la cura di una mamma, la passione di un’amante e l’innocenza di una bambina.

Potrei stare ore e ore a parlare dell’accordo femminile o maschile di certe parole e degli universi che un semplice articolo può nascondere, essendo un’altra delle cose che mi affascina della letteratura sin da piccola, ma oggi voglio intrattenervi con curiosità e aneddoti del linguaggio di tutti i giorni.

Alcune delle parole più interessanti che ho trovato in questo dizionario illustrato sono: ‘la causeuse’, ‘la chaise haute’, ‘la dormeuse de croissance’, ‘l’alliance’, ‘le cache-coeur’ e ‘le garde- fou’.

‘La causeuse’ indica semplicemente un divano a due posti, ma ciò che mi ha colpito è la sua radice, che rimanda al verbo ‘causer’ che significa proprio chiaccherare, parlare a bassavoce a proprio agio con qualcuno. Non vi dà proprio l’idea di due persone sedute sul divano intente ad aggiornarsi sulle novità delle loro vite, magari caute nel non farsi sentire dagli altri familiari riuniti sulle sedie attorno al tavolo nel salone dove si trovano? ‘La chaise haute’, invece, mi ha fatto sorridere per la sua spontaneità e ingenuità: essa infatti non è altro che il nostro famoso ‘seggiolone’, e in effetti che cos’è un seggiolone se non una semplice ‘sedia alta’ come vuole la traduzione letterale dell’omologo francese? E per restare in tema neonati e infanti, ‘la dormeuse de croissance’ ha rubato il mio cuore. A stare a guardare il disegno che accompagna la scritta non è altro che il pigiamino dei bambini appena nati, e a sentire degli amici francesi nella lingua corrente anche loro lo chiamano semplicemente ‘pijama’, ma l’affetto e l’amore che nascondono queste tre parole non ha eguali: letteralmente si tradurrebbe con qualcosa come ‘dormitrice per la crescita’, insomma, un indumento che ti accompagna nei sogni dolci dell’infanzia verso la crescita e lo sviluppo. Non vorrei fare la solita romanticona ma se si parla di francese è inevitabile non tornare al tema dell’amore ogni due per tre: ‘l’alliance’ si trova nel capitolo dedicato agli accessori, e in particolare alla sezione sugli anelli, ed è infatti il nome specifico che viene dato alla ‘fede nuziale’, non una semplice ‘bague’ o uno scontato ‘anneau’ ma una vera e proprio promessa di amore e fedeltà, ‘un’alleanza’ appunto. E il ‘cache-coeur’? Non so perché ma quando ero alle elementari gli ‘scaldacuore’ erano all’ordine del giorno, eppure non mi ero mai soffermata sull’unione di queste due parole, che tradotte letteralmente dal francese sarebbero ‘nascondi cuore’, come se a quel giacchetto a V che si avvitava sul nostro corpicino di bambine fosse ordinato di proteggerci dai drammi del cuore e custodire i nostri stessi sentimenti, puri e spontanei come sono a quell’età. Il termine ‘garde-fou’, invece, mi ha fatto morire dalle risate: traduzione francese della parola ‘ringhiera’, alla lettera si traduce come ‘mantieni/trattieni il folle’, giustamente, la ringhiera è fatta per trattenere i folli dal buttarsi dalle scale.

‘Causerie’, Federico Zandomeneghi (1885-1890)

Non potete capire quante cose si scoprono sfogliando questi dizionari apparentemente inutili ed esagerati! Per esempio, c’è una pagina interamente dedicata a diversi tipi di finestre ( di cui vi allego la foto perché ne sono rimasta sconvolta): c’è la ‘fenêtre à accordéon’ che è quella che ricorda giustamente le pieghe di una fisarmonica (‘accordéon’ in francese); la ‘fenêtre à jalousies’ è invece quella degli ospedali e del dentista, fatta apposta per nascondere la stanza, quasi ad esserne gelosi; non sapevo che la finestra che si apre dal basso verso l’alto è detta ‘fenêtre à guillotine’ e ora che ne ho notato la somiglianza non credo ne aprirò mai più una in vita mia; e infine, lo sapevate che la vostra finestra se si apre verso l’interno è detta ‘à la française’ mentre se lo fa verso l’esterno è ‘à l’anglaise’?

Tutti i tipi di finestra illustrati e spiegati

Tutte queste complicanze tra nazioni. Un’altra cosa che trovo molto divertente nello studiare le altre lingue è l’assegnazione di nazionalità ad elementi che mai pensavo ne avessero una, e talvolta mi domando davvero che criteri abbiano seguito nell’assegnarla. Per esempio, il broccolo in francese è un semplice ‘brocoli’, se però parliamo di ‘cime di rapa’ allora diventa ‘brocoli italien’ o ancora se si tratta del ‘cavolo verzotto’ (voi avete idea di che verdura sia? Io no) quello è invece ‘chou de Milan’, guai a confondersi! Questa cosa mi ricorda molto quest’estate quando, leggendo il menù di una pizzeria a Napoli, ho scoperto che quella che noi a Roma chiamiamo ‘pizza alla Napoli’, ovvero con mozzarella e alici, a Napoli la chiamano ‘pizza alla romana’, tanto più che per loro è un modo di disconoscere questa versione di pizza che a quanto mi hanno detto i napoletani DOC non ordinano né preparano mai! Insomma, non solo vengono attribuite nazionalità alle parole, ma anche regionalismi…

Non mi dileguo più sulla mia collezione di parole preferite sennò non la finisco più, però spero che questo viaggio attraverso le parole e le loro mille sfumature nascoste vi sia piaciuto! Semmai ne conosceste anche voi di strane o particolari in qualsiasi lingua, non esitate a condividerle con me!

Vi lascio con un’ultima ultimissima parola: ‘pourboire’, che nella lingua corrente significa ‘mancia’ ma che è composta dalla preposizione ‘pour’ (‘per’) e dal verbo ‘boire’ (‘bere’), perché in fondo cos’è la mancia se non una piccola gratificazione per chi la riceve che gli permette di togliersi uno sfizio, magari andando a bere qualcosa dopo una giornata di lavoro?